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Egocentrismo emozionale

Da che mondo è mondo il sé, la percezione del sé, l'ego e il proprio "rispecchiarsi nella natura", direbbe il Bardo, sono ingredienti per qualsiasi razza di storia di successo. Lo specchio è la metafora narrativa che caratterizza maggiormente questo filone, dall'archetipo delle fiabe al mondo dei social come misura della nostra immagine pubblica, riconoscibile.

 

In ciò non credo che le vignette di Caterina Costa, nota come cheit.jpg, studentessa e artista dello IED di Milano facciano eccezione. Col loro seguito da 207mila follower provano che sul tema del sé si possono imbastire ancora storie, o vignette, di successo. Complice uno stile personale e graficamente molto accattivante e la scelta molto saggia e internazionale di realizzare una striscia in inglese.

 

Le mie osservazioni però riguardano una sensazione e una considerazione più vasta che ho provato seguendo con una certa continuità questa artista. Ribadisco che sono osservazioni sul personaggio delle sue strip, non certo sulla "persona vera", reale che è l'autrice.

 

Mi sono chiesto perché un personaggio che ponesse quasi invariabilmente se stesso come oggetto/soggetto di sofferenza potesse riscuotere tanto credito e come mai tanto egocentrismo - vorrei usare questa espressione come semplice dato e non giudizio morale -, fosse percepito come un motivo di interesse, come mai non stancasse il pubblico assistere a episodi di sofferenza individuale in cui il sé è l'invariabile centro e misura di tutte le cose. O poco, davvero poco più. Scorrendo le vignette penso sia molto difficile trovare qualcosa che non si collochi dentro la matrice claustrofobica "io e gli altri"/"come sto". Una narrativa di segno assolutamente opposto per esempio all'approccio dato da un musicista come Giovanni Lindo Ferretti nella canzone "Io sto bene" che qui vi ripropongo nel patinato (e mi si passi l'espressione un po' disinnescato e fighetto) rifacimento dei DeltaV. Io ripetuto e se non infelice certo poco a suo agio, che si pone come esclusivo argomento di arte. Di sicuro credo che se esistano un campo interessato e una chiave di lettura, essi afferiscano alla sfera dell'emozionale e non del narrativo/comico.

 

Perché questo interesse? Forse perché siamo così insicuri da trovare confortevole e accettabile un disagio relativo al nostro esistere nel mondo? O troviamo una sorta di esistenza vicaria nel sostenere e partecipare come aiutanti alla sofferenza di un personaggio sia pure "di carta"? O ci rincuora sapere che persino per un fumetto la vita è cosa dura? O la ragazza di Cheit.jpg è un golem chiamato a assumersi il ruolo di capro espiatorio per salvarci in un rituale di fruizione artistica quotidiana? Mi piacerebbe che qualcuno magari più qualificato potesse riflettere insieme a me su questo.

[credit foto di apertura, a titolo citazionale, Instagram https://www.instagram.com/p/CHqoAFfHBPl/, cheit.jpg]

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