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Crescere fragili, non crescere mai

Come hanno scambiato l'isola che non c'è con una palude di illusioni

Se crescere significa qualcosa, posso dirlo alla soglia dei 48 anni, questo è anche poter assumere un minimo distacco da quello che stai facendo, senza timore e con una sana ironia. Ironia che serve a mitigare l'amarezza di quanto, in genere, si scopre.

Un twitt recentemente giuntomi, alla firma di **Luigi Mariano(1)**, recita così:

«Elogiare Achille Lauro in quanto trasgressivo e dissacrante, dopo che negli anni 70 e 80, quando era difficile esserlo, ci sono stati Renato Zero, Freddie Mercury ecc., è come dare del valoroso guerriero a uno che si veste da antico romano» 

Gli ho risposto con le parole che lascio qui in calce. Non per caso poiché non più di due ore fa ero nel bel mezzo di un'attività che conduco parallelamente al mio ordinario mestiere, l'insegnante, cioé frequentare le numerose fiere del fumetto, dei giochi, dell'intrattenimento nazionali, e scrivere dei pezzi per le riviste di settore. Un ambito che io per primo amo e di cui ho fatto parte, come ludente, per decenni, prima di arrivare a raccontarlo. Non sono quindi immune da colpe e fascinazioni, ma confesso che col passare del tempo nutro verso la "mia gente", il pubblico delle fiere, dei giocatori, dei collezionisti e degli appassionati di fumetti e intrattenimento - dai videogiochi alle miniature, dalle carte collezionabili al LARP -, un crescente e sempre meno celato imbarazzo.

Sarà che ogni volta ne vedo troppi, sarà che ogni volta lo scenario mi sembra sempre il medesimo, ma comincio a chiedermi sempre più di che pasta siano fatti i giovani adulti, includendo qui generosamente la generazione attuale compresa tra i 13 e i 40 anni. Quindi i nati dal  1980 al 2007. E noi come primi "fratelli maggiori", ossia i nati dagli anni '70.

Non riesco a non provare un crescente scoramento chiedendomi come resisterebbe questa umanità a una crisi o a una catastrofe non certo definitiva, ossia a uno scenario di enormi sconvolgimenti ma senza che vengano cancellate almeno le basi e i riferimenti della civiltà. Quindi una serie di eventi paragonabili alla Prima e Seconda Guerra mondiale. Figurarsi ipotesi ben più distopiche come la sopravvivenza a una catastrofe nucleare, ambientale o batteriologica. Faccio fatica anche solo a pensare che queste persone sarebbero in grado di agire e reagire, messe seriamente in una trincea, con le pallottole che gli fischiano a pochi centimetri dagli occhi, o anche solo nelle città a sopportare la dura disciplina di un'economia di guerra e razionamento. Che cosa siamo in grado di affrontare? Quanto siamo pronti a una reale situazione di pericolo o alla richiesta di rischiare seriamente la ghirba? Questo mondo di hipster supertatuati, di ragazzotte pasciute e un poco bovine, o con la falsa sfrontatezza di chi si atteggia a "cresciuto", reggerebbe uno scenario come Dresda, Stalingrado, Tokyo sotto le bombe? Potrebbero salvare dei bambini qualora si trovassero davanti tre orfani e una casa sventrata dalle bombe? Sarebbero in grado di cercare viveri di prima necessità durante un assedio quale fu quello di Berlino nell'Aprile 1945? Io penso proprio di no.

Vivono e viviamo in un supermarket in cui è possibile abbracciare ogni sorta di apparenza, dal guerriero celta alla spia cyberpunk, ogni identità viene indossata come un costume o una maschera, spesso parliamo il gergo di queste vite virtuali fatte di gadgets, costumistica, trucco, videogiochi, scenografie, apparati, giochi di ruolo, serate in birreria a fingersi pirati, avventurieri, esploratori intergalattici, fruitori di ore e ore di fiction di ogni razza e colore, gente che non riesce a firmarsi sui social senza infilare un "megalord" o una "Zombie Queen" nel nickname. E lasciando perdere tutte le varianti di genere e identità sessuale. Oltretutto sappiamo benissimo che tutta questa economia non vende cibo, beni necessari o attrezzi indispensabili a produrre e vivere, ma plastica, apparenza, finzione, carta e mock ups di ogni sorta, nulla di più. Un'ultra economia sull'effimero e sull'inconsistente. Provate voi a sopravvivere su un'isola con 200 giochi in scatola! O vedere se il costume di Capitan America vi salva dal prendere una raffica di pedatoni veri nelle vere costole!
Sappiamo anche che è meglio per tutti cullare questi adulti in una serie di "vite parallele" piuttosto che costringerli a pensare che il mondo vero è fatto di miseria, solitudine, competizione spesso vigliacca e compravendita di ogni aspetto dell'esistenza. Anzi forse è esattamente per questo che la cultura da nerd è esplosa in tutta la sua virulenza. Come può essere necessaria la droga per evadere o fuggire quando ti trovi in un mondo disperato e disperante! Nessuno mi toglierà dalla testa che o per bieco immediato interesse (c'è un'economia ludica che gira), o per l'inerzia di vivere lavoretti precari per pagarti il fine settimana con le spade laser di plastica a volteggiare come un Jedi sovrappeso, o per il gusto di comprare una *katana* di latta per fare il samurai da studiolo, o per semplice sfortuna dei tempi, ci stiano mantenendo consapevolmente in una prigione di specchi, mentre la nave affonda.

Fare il contrario invece sarebbe un costo troppo grande da risarcire.

 

Un tempo, si dirà, a parziale smentita della mia tesi, in quel mondo di "veri uomini" e "vere donne" (e madri, altro particolare non da poco, negato alle nostre ragazze dei paesi apparentemente benestanti) l'evasione dalla bruttura del quotidiano, dalla fabbrica, dalla risaia delle mondine, era quella offerta dall'alcol. Le persone non erano meno esposte alla dipendenza da illusori placebo. D'accordo, ma perlomeno questa opzione era da tutti guardata per quale era: un vizio, una vergogna, una miseria. Non incoraggiata da fiere di settore a 60mila metri quadri, non celebrata dai media come "innocuo divertimento" o segno di una vivacità affascinante. Era un mondo sordido descritto tal quale dalle tele degli Impressionisti ai romanzi di Céline.

Ora viviamo con gente coperta di tatuaggi come Queequeg, ma che non saprebbe montare su una bagnarola ormeggiata al molo.

Non so ma sento tutto questo come un terribile peso. E non so che fare.
Costretto a scrivere e rispondere amaramente:

«E infatti siamo nella civiltà del cosplay. Posso testimoniarlo dopo questo weekend»




Note

[1] Utente @luigimariano66

 

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