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Temporary Politics (dalla crisi della negoziazione alla "negoziarizzazione" politica)

[credits immagine: "The Grocery" by Lena Guberman is licensed under CC BY-NC-ND 4.0 ]

 

Se la POLITICA è arte della negoziazione, il paragone è ancora più calzante. Non sprecherò parole, ma gradirei formire ai miei lettori un sintetico modello concettuale sul funzionamento della politica e dei partiti nell'era del 2.0 e oltre.

 

Gioco con la parola negoziazione, per introdurre in politica il concetto di negoziarizzazione, ossia: qualora esaminassimo i modelli di business e di consumo nella loro evoluzione dagli anni '50 del XX secolo al primo ventennio del XXI, ci accorgeremmo di una coincidenza angosciosa: il parallelismo tra modelli di consumo e partecipazione politica organizzata.

 

Possiamo affermare che i vecchi partiti di massa, come emersi dalla fine dell'Ottocento e attraverso le tempeste delle due guerre mondiali, erano del tutto identici al negozio di quartiere. La drogheria o minimarket di fiducia: erano specializzati per utenza (operai, contadini, borghesi, alta borghesia, ricchi), servivano un "prodotto" ben riconoscibile che il pubblico tendeva  a seguire con fedeltà. Tanto che ogni partito aveva il suo elettorato classico e ben distinguibile dal resto. Ogni partito era ben identificabile a livello simbolico e concettuale.

 

Poi con la crisi della distribuzione tradizionale è stata l'era delle mega concentrazioni - i minimarket sono stati distrutti dalla grande distribuzione, e sono apparsi i centri commerciali. Con la crisi - dalla fine degli anni '80 in Europa e USA - delle vecchie rappresentanze è avvenuto il branding prima categoriale (e poi personale) della politica: non più partiti singoli ma coalizioni ampie che tendevano a un bipolarismo imperfetto. Parallelamente dominavano i grandi mall o shopping centers. In Italia la prima era dopo Tangentopoli. I singoi negozi si consorziavano per reggere la concorrenza e la "sfiducia" dei consumatori/elettori.

 

Poi è iniziata la prima crisi anche delle catene e è arrivata l'era del franchising: anche in politica l'iniziativa era nelle mani di pochi avventurosi che "compravano" un pacchetto identitario. Il leader diventava la faccia del movimento e iniziava la personalizzazione della politica, quindi non più borghesi contro operai ma Berlusconiani contro Dalemiani, o la sinistra contro Berlusconi. Gli anni dal '95 fino al 2005. Anche questa era è tramontata. Come nel franchising il negoziante non ha una "faccia" riconoscibile, ma si fa portavoce di un modello aziendale e commerciale eterodiretto, così non contavano i singoli politici ma il loro unico capo-immagine, verso il quale il nemico indirizzava l'odio di ogni elettore.

 

Quindi è iniziata l'era dei fallimenti e dei temporary stores. Nessuno reggeva gli affitti in centro città, il pubblico diffidava delle grandi catene, c'era voglia di tornare al consumo "vecchio stile" ma senza più l'infrastruttura sociale, economica e produttiva che lo potesse sostenere. Sono nati quindi i negozi temporanei che si collegano a un evento effimero e stagionale, ma poi spariscono, lasciando l'acquirente spesso nella merda. Specialmente in caso di pessimo servizio, prodotti scadenti o malfunzionamenti! Così anche per la politica si cercava disperatamente chiunque desse un taglio allo scontento. Sono nati partiti/movimenti falsamente spontanei ma architettati a tavolino, che duravano sempre meno in termini di consensi. Sono arrivati i M5S e la nuova Lega, poi i vari movimentucoli di piazza, che incontrano un'affermazione e un declino altrettanto rapidi e frammentari. Ora siamo alle Sardine dopo il fallimento di una dozzina di presunti e sedicenti "movimenti di piazza". L'epoca in cui attualmente siamo, un'era in cui i movimenti nascono come funghi ma muoiono altrettanto velocemente senza soddisfare alcun bisogno, ma riempiendo di ciarpame sia l'ambito commerciale sia la politica vera.

 

Non c'è nulla di cui sorridere perché il modello, in entrambi gli ambiti sta collassando e non ci sono alternative in vista.

 

 

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