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Casarsa2021

Ho visitato alla fine Casarsa. Nome completo: Casarsa della Delizia. Sul gonfalone del Comune spicca in effetti una casa il cui tetto inizia a essere divorato dalle fiamme. Poeticamente parlando mi piacerebbe scoprire che parte del gonfalone e dello Stemma (qui di seguito) descriva la restante "Delizia"...

 

Gli uomini evidentemente, negli stemmi e nei simboli amano mettere solo il grande e terribile.

Un "grande e terribile" che mi par di veder tornare nell'abbacinante chiarità delle sue strade nel tardo sole estivo.

 

Bianco e verde mi è parso il Friuli. Con alberi e filari di viti e campi di granturco, e sopra un cielo dalla uniforme diffusa chiarità scialbata, come certi panni usciti dalla lisciva, o certe tele in appretto presso acquarellisti e pittori. Come se quella luce nascondesse un doloroso segreto disteso sulle teste degli uomini e delle bestie.

 

Al centro spicca la Casa Colussi, ora sede del Centro dedicato a Pasolini, grande casamento rosa con due ali, di cui una è l'accesso al Centro e l'altra la vecchia sede dell'Academiuta creata dallo scrittore. Una presenza evidente nel tessuto urbano.

Non c'è stata solo questa impressione dominate. Anche la constatazione che il borgo, il comune di "Cjasarsa" si è reso troppo uguale alle cittadine toscane che conosco, certo più giallestre e rosate nella luce, più contrastate contro un cielo più azzurro (anche a Casarsa comunque le mie foto hanno mostrato una tinta satura che compariva in certe ore del giorno). Una terra di asfalto, cemento e cordoli e edilizia non particolarmente bella né creativa. Io dico un paesaggio "cascinizzato" o "bieninizzato" dal nome dei due borghi toscani che ho di recente frequentato più a lungo.

 

Ma a differenza dei borghi toscani del basso Valdarno mi ha colpito mestamente la stragrande quantità di edifici pericolanti, puntellati, in rovina o abbandonati, i muri puntellati da chiavi e centine, i minuti detriti da sbriciolamento raccolti a bordo strada, le imposte e i cancelli semisventrati o semiconsumati. Questo tanto presso i luoghi più frequentati del vivere civile (la Stazione, le Poste...) quanto nei suburbi. Senza differenze d'uso, dalla villa signorile novecentesca al casone per operai e contadini, dal cascinale tradizionale con corte interna al capannone industriale (fra tutte quello della "Birra Johannes" fra Casarsa e San Giovanni). Come se in questo dolore il caso avesse colpito chiunque, senza distinzione di ceto sociale o di mezzi. A sopravvivere purtroppo l'edilizia del benessere fra anni '60 e '80.

 

 

Frequento cimiteri - sono passato ovviamente anche in quello in cui dormono Pasolini e la madre, Susanna. Cammino per le vie da solo, sotto il sole o di notte, evitando gli esseri umani.

Quindi vedo e sento cose a cui non si fa più caso, per esempio transitando con l'auto.

Mi prendo il tempo di sentire, di pensare e alla fine, se non di capire, forse, di credere perlomeno in qualche piccola verità.

 

L'occasione me l'ha data finalmente un corso di formazione per docenti organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, dal Centro Studi PPP (Pier Paolo Pasolini) di Casarsa, e dalle università di Bologna e Trieste. A dire il vero avrei preferito frequentare il corso della Quarta Edizione della Scuola Pasolini, sempre ospitato dal Centro Studi PPP, su Pasolini e la cultura medievale, gestito fra la Sorbona e l'Università di Trieste. Corso previsto e imminente in questi giorni. Confesso di esserci rimasto molto, molto male per la mancata selezione a fronte della mia candidatura, me ne dispiace, perché continuo a pensare che avrei avuto i numeri e le competenze per seguirlo come poeta e storico medievista attivo in passato anche nell'ambito accademico. Mi auguro di poter consultare gli atti o le registrazioni, almeno. Sarebbe di consolazione.

 

Al momento ringrazio sentitamente il personale del Centro Studi, segnatamente Francesco COLUSSI curatore del corso per docenti e parente alla lontana di Pasolini, via famiglia materna (quei Colus che hanno disseminato il borgo del loro stemma col sole raggiato e la cui casa ora ospita il Centro e l'Archivio Pasolini) e la Segretaria Elisa Miglioranza per l'accoglienza, l'ospitalità e la competenza nel gestire gli incontri e le passeggiate "pasoliniane". Avrei preferito un taglio più laboratoriale, in questo senso la terza sessione di incontri, quella destinata ai media e alla cinematografia, ha ospitato le lezioni più stimolanti. Il livello dei relatori e degli interventi comunque supera di svariate spanne tutti i corsi di formazione per docenti a cui abbia partecipato. Non lo dico per piaggeria ma per mera constatazione, anche al netto di tara delle mie convinzioni personali, e quelle segnatamente ideologiche e politiche, su cui motivo fondo e per cui continuo a coltivare riserve profonde sul modo con cui trattiamo Pasolini nella critica e soprattutto nella trasmissione culturale.

 

Son passati tre anni, da quando alla Torre (chi mi segue sa di cosa parlo...) ho dedicato un'estate alla lettura sistematica di mezza "Bestemmia", l'opera omnia di Pasolini poeta e me ne sono innamorato. Di un amore complesso e tortuoso nelle sue manifestazioni, una storia fra le mie storie letterarie che mi doveva condurre ex necesse a respirare la stessa aria dei "luoghi pasoliniani". In tal senso, Roma, pur essendoci stato certo più volte, mi manca altrettanto.

 

L'aria casarsese però è stata feconda. Anche perché è capitata in un mio contesto personale specifico e irripetibile.

Ne sono nate e nasceranno di certo alcune poesie, oltre a quelle già stimplate dalla mia estate "pasoliniana" a Rio. Ho già un trittico a cui sto lavorando. Ho deciso di non accontentarmi tanto facilmente delle mie bozze ma di rielaborarle ancora più in profondità.

Esiste il genius loci ma si esprime solo in specifiche congiunture. Tralascio ogni sentimentalismo e mi limito a dire che la poesia è frutto sempre di occasione concreta, di "visitazione" presso luoghi o persone. Uso l'espressione arcaica e religiosa del termine volutamente, così desidero sottolineare questa breve visita nel mio percorso artistico, professionale e umano.

 

Che cosa rimane del mondo descritto da Pasolini? I frequentatori e studiosi del Centro PPP conoscono assai bene la risposta. Quel mondo, esattamente come i ruderi di quelle case e le rogge ormai intubate sottoterra, parla una lingua sepolta, che non può che essere ricomposta e riesumata appunto con le categorie del sacro e del rituale. Con tutta la pietosa frammentarietà, l'incompletezza del caso. Lo statuto di reliquia. Comunque rimarrà l'archeologia di una realtà uccisa dalla modernità, oppressa dalle nuove forze che si agitano nell'economia, nella società e nella lingua delle persone.

 

A titolo di incoraggiamento finale posso però dire che l'occasione di esercitare un magistero individuale, intellettuale e artistico oggi è più feconda, urgente e irrinunciabile, in questo Pasolini ha occasione di "risorgere" almeno a titolo di falsariga o esempio fertile. Le sfide non sono scomparse, anzi, si è avverata quella "profezia" (e a mio giudizio Pasolini fu "profeta" in pieno senso dantesco) espressa dal nostro sulla modernità o meglio sulla contemporaneità del post liberismo di consumo.

 

È la lotta che va ancora scritta.

Pasolini cammina ancora.

Da Casarsa2021 è tutto.