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La Realtà Aumentata e il Museo, il rischio di stuprare l'Arte

Oggi i Musei, quelli almeno dotati di finanziamenti adeguati, si stanno gettando sulle nuove tecnologie. In special modo le applicazioni mobili o tramite VR di "realtà aumentata" (o AR, all'anglotecnese).

 

Per avere un'idea dell'argomento:

 

http://www.postinterface.com/notiziapocket/145-realta-aumentata-arart-e-lapplicazione-che-anima-i-quadri-postinterface

 

La domanda forte che vorremmo porre, e desidereremmo tanto che qualcuno se ne occupasse seriamente a livello di teoria, filosofia dell'estetica, della poetica e dell'Arte, è questa:

 

«Abbiamo il diritto di effettuare della consistente cosmesi tecnologica su opere d'Arte?»

 

Perché è indiscutibile almeno un punto. Che è un punto di partenza: ogni volta che noi intromettiamo fra il pubblico e l'opera (in questo caso un manufatto artistico su media tradizionale, pittura, scultura... ma vedremo che il discorso si applica a qualsiasi opera dell'ingegno umano) un elemento estraneo all'opera stessa noi esercitiamo un arbitrio sull'opera e sull'artista. Spesso defunto, oltretutto.

 

Già collocare l'opera in un certo contesto è alterarne la percezione originaria, infatti non è un caso che sia nata la Museologia come disciplina consapevole; tuttavia creare animazioni per esempio che alterino la percezione dell'opera mi pare un intervento sicuramente assai invasivo e incisivo.

 

La domanda è: Siamo certi che sia un intervento rispettoso della qualità dell'opera?

 

Non è in pratica anche o in parte l'ammissione di un pregiudizio inconfessabile: l'opera d'arte non è completa, esaustiva, universale, conclusa in sé come atto di pienezza (anche e soprattutto quando va a aprire questioni non facilmente liquidabili, o domande necessariamente aperte), e quindi dobbiamo arrogarci il compito di "arricchirla" con qualsiasi cosa?

 

La domanda è: Siamo sicuri che l'artista lo vorrebbe?

 

Perché dovremmo trovare più interessante/fruibile/apprezzabile/accattivante (fate voi...) una Ragazza-con-l'Orecchino-di-perla-che-si-gira-e-ammicca, rispetto al quadro autentico di Vermeer? O dei fiori chiusi che sbocciano, quando l'artista ha deciso che quello era l'aspetto immutabile e eterno della sua visione interiore? Per quale motivo dovrei vedere alterato quello che l'artista ha deciso che vedessi nel modo e nella forma originari da lui scelti? Perché ricreare il "Campo di Girasoli" di Van Gogh in modo diverso da quella che è stata la sua volontà di proporre la tale imagine nel tal modo?

 

Un conto è un'operazione di meta-arte, di esegesi o di analisi e didattica, per esempio rendere meglio fruibili certi aspetti intrinsechi nella tecnica, nelle circostanze creative e storiche, nel messaggio - diciamo così più corrente - veicolato dall'opera (tema, ambientazione, storia o conoscenze necessarie per fruire appieno dell'esperienza artistica), ma ben altro è l'intervento estetico/spettacolarizzante come per esempio immergere il pubblico in una visione "alternativa" dell'opera.

 

Non è una forma di violenza all'artista e all'opera? Uno stupro nel senso proprio del termine?

 

Vorrei che qualcuno affrontasse a livello di critica d'arte e di museologia seriamente la faccenda.

 

C'è secondo me il serio rischio che si apra l'esperienza artistico estetica a deletere forme di mash-upping che tutto sono tranne che originali o valide sul piano estetico-ideativo.