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Un colpo di tosse

Un colpo di Tosse

Satira di cittadinanza e bandiere

Sapete com'è, ogni tanto ho il vizio di affacciarmi alla finestra della Sala Insegnanti. Un po' perché mi distrae dalle ubbie quotidiane e un po' perché, se posso, mi fa vedere un lampo di cielo, anche d'inverno; magari quando c'è una tregua di azzurro, di sereno. Così mi capita a volte di osservare la bandiera italiana appesa proprio sotto le imposte. Spesso il vento la fa attorcigliare su se stessa e la trasforma in una sciarpa monocolore a seconda di dove tira, un giorno verde, un altro rossa, bianca quasi mai. Allora, con il massimo rispetto, e anche un minimo di amore, la prendo e la svolgo, per farla respirare, sventolare, che quando sta proprio intorcinata, la posa me la fa sembrare tisica, intristita, complicata e prigioniera, oppressa e soffocata, strozzata quasi come se avesse una brutta tosse incurabile, e mi scatta la premura.

O vedi un po' che, ieri, ho sentito tossire davvero.

Ero alla macchinetta del caffé, indeciso tra il Ginseng lungo e il caffé, sempre lungo. Non mi sono girato, dovevo prima decidere, ma ho chiesto, pensando a un collega: "Ti posso offrire un caffé?". Nessuna risposta. Ma un colpo di tosse, ancora. "Vuoi un caffé?". Niente. Girandomi ho scoperto che veramente non c'era nessuno nella stanza, oltre a me. 

Cof cof.

Oh bella... 
Passo al presente storico, che mi par proprio di tornare là nella mia ora di pausa o "buco".

Cof cof.

Stavolta lo sento meglio, un po' più forte e nonostante tutto ne percepisco il tono anche ovattato. E... femminile. Sono diventato pazzo? Ancora un colpo di tosse. Mi guardo bene intorno, esco anche sulla soglia. Nessuno nell'anticorridoio, a parte dei ragazzi che pascolano davanti al bagno al primo piano e il personale ATA di passaggio sulle scale. Troppo lontani perché i loro tormenti polmonari siano udibili. Alle mie spalle un'altra tossicchiata, seguita da un singulto sospiroso.

Sapevo che prima o poi sarei giunto a questo. 
O chiamo un'ambulanza, o qualcuno da fuori per controllare se ho le allucinazioni. Infine, spinto più dall'istinto e dalla carenza di buone idee, più che dal buonsenso, seguo il debole sospiro, vado alle finestre. Apro.

Cof cof cof.

È ...la bandiera a tossire. Di fianco al blu Europa.
La bandiera italiana, annodata dal vento di marzo, come sempre.
Senza pensarci un secondo la svolgo, con due, tre giri di polso, e il Tricolore torna a pendere, veleggiando debolmente alla brezza mattutina.

Grazie, stamani stavo per arrendermi.

Mi risponde.
Il Tricolore. 

Lo sento pure troppo bene, come sento il traffico delle strade vicine, l'abbaiar dei cani e gli uccelli sugli alberi del cortile. Allora faccio quello che nessun professore sensato farebbe: prendo una sedia, mi metto comodo a fianco del davanzale. In fondo quando mi capiterà più di parlare con la bandiera della mia patria? 

Rispondo al volo:
Prego, di niente. Lei, arrendesi, la bandiera? Per un nodo?
Senti... Posso chiederti un favore?
Aspetti, aspetta un secondo...

Vado alla porta e chiudo. Sia mai che arrivi qualcuno, mi veda conversare con l'insegna, pur illustre, e decida di chiamare lui un'ambulanza.

Precauzioni... - soggiungo, imbarazzato.

La bandiera risponde:
Grazie per avermi dipanato, dicevo, come le altre volte. Mi domandavo se potessi approfittare ancora della tua gentilezza...
Se posso, sarei onorato.
Potresti mettermi via?
Come? Prego?
Mettermi via. Ripormi.
In che senso? Scusi, cara bandiera d'Italia? Non sta bene quassù? Forse è il vento... Vuole essere spostata magari sull'altro lato della scuola...
No, no. Mettimi proprio via, slacciami da qui, riponimi.

Era pazzesco. Il Tricolore chiedeva di essere ammainato, messo via. A questo punto tossico io, forte, per schiarirmi i polmoni. Controllo ancora la stanza. Siamo soli. Inspiro a fondo, prendo fiato, cercando di comprendere:

Che cosa c'è, o bandiera? Non capisco.

La bandiera mi racconta. Di come un ragazzo straniero, accolto con la famiglia nel nostro paese, scampato a un orribile attentato per fortuna senza esiti irreparabili, abbia chiesto con insistenza e un'urgenza che non ammette esitazioni o sconti, di diventare italiano. Cittadino.

Beh - ho aggiunto io, subito - non sei stata contenta?
Fammi finire, per favore. Lo ero, lo ero tantissimo. Anche se mi turbava la pretesa, l'insistenza, la maniera di chiedere...

Qui era emerso in me il professore di Storia, e il professore tout court che cerca sempre di capire i ragazzi, specialmente gli adolescenti anche quando il loro comportamento non gli piace per nulla. Era vero, quel tono e quel modo di intimare, perentorio, spavaldo - "Ora fateci cittadini" -, riportato dai quotidiani indisponeva parecchio anche me.

Beh sai, tu sei una signora nata nell'Ottocento, anzi sei nata nel 1797...

La bandiera tossisce, piegandosi. 

Sono vecchia, lo so...

Mi passo una mano sulla testa, come uno che fa una gaffe con una donna.

Ma no, forse è che certi ragazzi, magari tanti, non sanno come chiedere le cose... Sono diretti, vanno al sodo, e forse li abbiamo abituati a pretendere, dimenticando di dire loro che c'è anche il dare... È vero che trattano anche cose serie, per esempio la Patria, o il loro benessere come qualcosa di scontato, acquistabile, ordinabile su richiesta, come - fisso la macchinetta delle bibite - una bevanda gassata o un caffé, per due spiccioli. Ma non è colpa loro...

Sarà - sospira la bandiera - ma ti chiedo, tu come ti saresti sentito, dopo.
Dopo, che cosa?
Dopo essere diventata la bandiera anche di quel ragazzo non più straniero.
Mah... Orgoglioso? - Aggiungo e chiedo, con la più bella delle speranze concesse da un mercoledì mattina. Eppure qualcosa mi fa vacillare in cuore le certezze di educatore e docente. Proseguo, cercando una ragione: - In fin dei conti lei, tu, sei il Tricolore del 1947-48, quello idealmente di Gramsci, dei Fratelli Rosselli, di Matteotti e di Calamandrei, sei persino una bandiera ancora giovane, non hai neanche più lo stemma sabaudo del Risorgimento e del regno, o neanche più il fascio della repubblica sociale... sei la bandiera "nata dalla resistenza".

Il Tricolore vibrava, come se in cuor suo avesse un moto di sentimenti contrastanti. 

La storia, la Storia, gli studenti pisani a Curtatone e Montanara, i barricaderi del 1848, i Garibaldini, e poi i giovani massacrati sul fronte dei monti del 1915-18, i fanti caduti fra le cime e le sassaie, che non parlavano neanche l'italiano ma i cento, mille dialetti materni della loro contrada d'origine, che però morivano, seppero morire per un'Italia bianca rossa, verde (e blu, i Savoia). E ancora i soldati in Russia, Etiopia e Somalia, Grecia, Albania, e la guerra civile dei partigiani e dei repubblichini, il dolore e lo strazio del conflitto, del sacrificio, della paura e del riscatto. L'Italia partigiana. Poi il paese ingenuo e allegro del dopoguerra, in canottiera e Lambretta, il miracolo economico, i "meridionali" a Milano, e via via fino a Pertini ai Mondiali, fino a noi... Tutti i dolori, le speranze, le speranze, le speranze di una Nazione intera e, malgrado le colpe, anche orgogliosa.

La bandiera mi strappò alle emozioni e al ricordo, ideale, di questi secoli.

Come ti saresti sentito quando quel ragazzo, ottenuta la promessa della cittadinanza, essendo accolto e premiato, per festeggiare in televisione, di fronte ai suoi nuovi fratelli, si è ammantato, non in me, non di me, non della sua nuova madre, ma della bandiera...

Mi fermai. Fissavo il Tricolore. Ormai ero io che stavo per arrendermi.

....egiziana! 

Con l'applauso di tutti.  - Concluse il Tricolore, cedendo alla gravità. Afflosciandosi.

Stiamo lì. Come due amici, a un funerale, quando non si sa che dire...

Cof cof cof.

Tossisce di nuovo. La bandiera. Il vento torna a infastidirla.

Trovo un briciolo di coraggio. E mormoro:

Capisco. La bandiera egiziana, quella dei torturatori e assassini di un altro ragazzo italiano, per cui ancora invochiamo verità e giustizia. 

Ora capisco che vorresti essere presa, ripiegata, magari dalle mani di un giovane o una giovane i cui padri, nonni e bisnonni siano rimasti a combattere qui, per te, a casa, resistendo alla tentazione e al bisogno, alla fame di emigrare, alla debolezza di arrendersi, di scappare. Dalle mani dell'ultimo ragazzo o giovane donna che prova in una di queste troppe periferie a resistere alla disoccupazione, alla necessità, alla vergogna, alla precarietà, alla mancanza di alternative, alla maleducazione e alla prepotenza. Anche di chi ti pretende a ogni costo e ti dimentica un secondo dopo. Capisco che tu chieda di essere stretta da mani che nonostante la pena sentano ancora il desiderio di tenerti accanto in un giorno felice e farti danzare al vento libero e di coprirsi di te nel momento glorioso. Capisco che tu vorresti essere raccolta e accolta con occhi riconoscenti, nonostante la disillusione, lo schifo, l'amarezza, il tradimento, le viltà umane e politiche, le incomprensioni, le ingiustizie, le offese.

Capisco - e parlo a Tricolore e non mi frega più che qualcuno possa entrare - che ti venga l'idea di essere presa e chiusa, con due lacrime d'amore magari in un baule odoroso delle divise polverose del Carso e di El-Alamein, di essere riposta dove non si sa, e per quanto tempo? Magari sotto le pietre antiche di una città arroccata dai tetti rossi, o al fondo pulito del nostro mare trasparente, ove sia, o fra le montagne mute e solenni delle Alpi, o fra le aride colline pugliesi o al di sotto dei pini sardi...

Capisco. Bandiera mia. E non so che dirti. Perdonami. Perdonaci.

Accarezzo il drappo. Chiudo le imposte e bene. Apro la porta, mi vergogno e quasi piango. 

Esco. 

Non mi sento ancora di sopportare quel colpo di tosse, là fuori, alla finestra.